La riscossione del TFR può a volte non essere così semplice e veloce. Capita infatti che, per motivi di varia natura, l’interessato si ritrovi a dover combattere per ottenere la somma dovuta. Capita che il datore di lavoro si rifiuti di pagare il TFR e non sempre si riesce a risolvere il problema con un “decreto ingiuntivo“. Per poter ricorrere a questa veloce procedura occorre che al giudice siano portate “prove certe” che dimostrino e quantifichino con esattezza il credito dovuto al lavoratore. In caso contrario una causa è quasi sempre, ahimè, inevitabile.
Ecco però che, a riguardo, con la recentissima sentenza 2239/2017 la Suprema Corte ha risolto un problema piuttosto discusso nei Tribunali, ossia se la busta paga del lavoratore fa piena prova e quindi sulla base di essa si possa chiedere il decreto ingiuntivo, oppure, la bustapaga non è sufficiente e, per poter ottenere quanto in essa indicato, occorra promuovere un giudizio ordinario. In questo secondo caso, come detto, con l’allungamento dei tempi per ottenere quanto dovuto.
Era accaduto, infatti, che un lavoratore aveva chiesto un decreto ingiuntivo per ottenere il pagamento del TFR dal datore di lavoro. La società si era opposta costituendosi in giudizio e affermando che non c’era alcuna prova delle competenze maturate dal lavoratore, quantunque tali voci fossero riportate nell’ultima busta paga, poiché la stessa risultava pari a zero. Infatti, il credito del dipendente era stato compensato dai danni che lo stesso aveva causato al datore di lavoro e per i quali era stato licenziato.
Sia in primo che in secondo grado i Giudici avevano dato ragione al dipendente ritenendo che la busta paga emessa dalla società avesse natura confessoria per la parte relativa alla esistenza ed entità delle competenze in essa indicate.
La Suprema Corte confermava in parte l’assunto ritenendo che effettivamente la busta paga è una prova piena dei dati in essa indicati, purché tali dati non siano contestati. Diversamente il Giudice deve valutare anche quei fatti portati in giudizio che sono diretti a contestare il credito del lavoratore.
Stabilisce infatti la Corte: “La busta paga, dunque, ha valore di piena prova circa le indicazioni in essa contenute solo quando sia chiara e non contraddittoria; diversamente, ove in essa risulti la indicazione di altri fatti tendenti ad estinguere gli effetti del credito del lavoratore riconosciuto nel documento (nella specie la indicazione di un controcredito del datore di lavoro per risarcimento del danno), essa è una fonte di prova soggetta alla libera valutazione del giudice, che dovrà estendersi al complesso dei fatti esposti nel documento“.