Numerose sentenze, sia dei Tribunali che della Suprema Corte, relativamente al rapporto genitori-figli, vedono garantire la collaborazione ed il rispetto tra i coniugi. In alcune di queste, come ad esempio una recente del Tribunale di Roma, il genitore che parlava male del coniuge al figlio è stato condannato al risarcimento dei danni.
Con la sentenza n. 20107/2016 la Corte di Cassazione decide però in maniera un po’ diversa. Era infatti accaduto che il padre si fosse visto rigettare per due volte il ricorso con il quale chiedeva che si dichiarasse la ex moglie responsabile, a suo dire, della “negazione della figura paterna” da parte della figlia. Egli, infatti, riteneva che la madre avesse avuto un comportamento ostativo e incompatibile con il progetto previsto anche dagli assistenti sociali per il recupero del rapporto padre-figlia.
La Corte d’Appello aveva ritenuto chiara la volontà della ragazza oramai quindicenne di non voler seguire alcun percorso di recupero del rapporto con il padre. La ragazza, in giudizio, aveva dichiarato di sentirsi ferita a causa delle scarse attenzioni riservatele dal padre, che si limitava solo ad inviarle qualche sms o a fare qualche telefonata saltuaria. La ragazza riteneva che “un ravvicinamento poteva avvenire solo su basi spontanee e non perché dettato da tribunali e servizi sociali”. La ragazza, per ravvicinarsi al padre, voleva “una prova di interesse sincero ed amorevole“.
Sulla base di queste dichiarazioni, la Corte d’Appello aveva ritenuto che i servizi sociali dovessero solo osservare se la ragazza con il tempo avesse voluto riprendere i rapporti con il padre e aiutare il padre nella scelta di una eventuale strategia da seguire per il recupero della relazione con la figlia. La Corte di Cassazione ha ritenuto di condividere la scelta della Corte d’Appello di non forzare la volontà della ragazza con ulteriori percorsi o incontri obbligati con il padre, ritenendo che tale scelta di “forza” poteva causare un maggiore allontanamento della figlia.