Mese: Ottobre 2016

La casa data in comodato per i bisogni della famiglia resta alla famiglia!

Casa coniugaleCon la recente sentenza n. 21467 dello scorso 25 ottobre, la Suprema Corte è ritornata sull’argomento dell’assegnazione della casa coniugale.

Nel caso esaminato dall’On.le Giudicante, i suoceri avevano dato in comodato una casa al figlio perché vi abitasse con la sua famiglia. Successivamente, a seguito della separazione consensuale del figlio, la casa coniugale era stata assegnata alla nuora, presso la quale erano stati collocati i figli minorenni. I suoceri, però, ne avevano chiesto al Giudice la restituzione in quanto anche loro avevano chiesto la separazione ed avevano ora bisogno di recuperare l’appartamento concesso in comodato al figlio. Essendo stata assegnata la loro casa coniugale alla suocera, e non avendo altri immobili, il suocero era stato infatti costretto ad essere ospitato dai figli.

La Corte ha ritenuto di respingere la domanda dei suoceri, ritenendo che il comodato della casa per i bisogni della famiglia non viene meno per il fatto della separazione, pertanto l’immobile da essi concesso al figlio non poteva essere restituito solo perché tra il figlio e la nuora era stata pronunciata la separazione. La famiglia, ritiene la Corte, “non è circoscritta al rapporto coniugale, ma include anche il rapporto filiale“. Di conseguenza: “Il comodato di immobile destinato ad abitazione familiare non può considerarsi stipulato senza determinazione di durata e quindi revocabile dal concedente in ogni momento…. Bensì riscontrandosi nel comodato un termine implicito desumibile dalle necessità implicite della famiglia “e quindi anche nella ipotesi di sopravvenuta crisi coniugale, ove le esigenze stesse permangono per il nucleo più ridotto costituito da un coniuge e dai figli minori“.

Pertanto, i suoceri, avendo concesso l’immobile per le necessità della famiglia, non potevano ottenere la restituzione perché, quantunque fosse intervenuta la separazione tra figlio e nuora, la casa era sempre destinata al bisogno della famiglia costituita dalla nuora assegnataria e dai figli. La Corte, poi, ha anche ritenuto infondato il “bisogno urgente ed imprevedibile” di restituzione della casa concessa in comodato che pur avrebbe consentito ai suoceri di recuperarla. Infatti, l'”urgente ed imprevedibile bisogno” da essi addotto, ossia la loro stessa separazione, sembrava infondato e non giustificato dai fatti esposti in maniera generica.

 

Chi è che paga nei tamponamenti a catena?

tamponamento

E’ comunemente noto un po’ a tutti che nei sinistri stradali con tamponamento la colpa ricada tutta sempre su chi tampona. Questo è abbastanza vero, ma quando il tamponamento è “a catena” non sempre è così.

Il tamponamento a catena è il classico incidente che vede coinvolti più veicoli, nel quale ciascuno urta con la parte anteriore la parte posteriore della vettura che lo precede.

Questo tipo di sinistro può avvenire in due modi.

1. Le vetture sono ferme e l’ultimo veicolo venendo da dietro tampona l’ultima vettura della colonna che a sua volta tampona quella che la precede e così via;

2. le vetture sono in movimento e, per mancanza del rispetto delle previste distanze di sicurezza, ciascun veicolo tampona il precedente e viene tamponato a sua volta dal successivo.

Nel primo caso, numerose pronunce dei Giudici hanno stabilito che la responsabilità sia dell’ultimo conducente che ha dato causa al tamponamento, mentre nel secondo caso è stato ritenuto esistente un concorso di colpa tra i due conducenti di ciascuna coppia di veicoli, (tamponante e tamponato), fondata sulla presunzione del mancato rispetto della distanza di sicurezza dal veicolo antistante. In quest’ultimo caso è comunque ammessa la possibilità di non rispondere dei danni, fornendo la prova che malgrado il rispetto della distanza di sicurezza prevista dalla norma, il tamponamento non poteva essere evitato, per esempio a causa della velocità eccessiva del conducente il veicolo proveniente da tergo.

A tal proposito la sentenza n. 8487/2015 della Cassazione stabilisce: “In tema di circolazione stradale nell’ipotesi di tamponamento a catena tra veicoli in movimento trova applicazione l’art. 2054, secondo comma, cod. civ., con conseguente presunzione iuris tantum di colpa in eguale misura di entrambi i conducenti di ciascuna coppia di veicoli (tamponante e tamponato), fondata sull’inosservanza della distanza di sicurezza rispetto al veicolo antistante, qualora non sia fornita la prova liberatoria di aver fatto tutto il possibile per evitare il danno. Nel caso, invece, di scontri successivi fra veicoli facenti parte di una colonna in sosta, unico responsabile degli effetti delle collisioni è il conducente che le abbia determinate, tamponando da tergo l’ultimo dei veicoli della colonna stessa“.

Nel caso di sinistro che vede coinvolte più di due vetture non è ammesso il risarcimento diretto della propria Compagnia assicurativa e occorre chiedere i danni alla compagnia della vettura tamponante o della vettura ultima che ha dato causa al tamponamento.

 

I figli hanno bisogno di attenzioni sincere e amorevoli

Padre e figlia

Numerose sentenze, sia dei Tribunali che della Suprema Corte, relativamente al rapporto genitori-figli, vedono garantire la collaborazione ed il rispetto tra i coniugi. In alcune di queste, come ad esempio una recente del Tribunale di Roma, il genitore che parlava male del coniuge al figlio è stato condannato al risarcimento dei danni.

Con la sentenza n. 20107/2016 la Corte di Cassazione decide però in maniera un po’ diversa. Era infatti accaduto che il padre si fosse visto rigettare per due volte il ricorso con il quale chiedeva che si dichiarasse la ex moglie responsabile, a suo dire, della “negazione della figura paterna” da parte della figlia. Egli, infatti, riteneva che la madre avesse avuto un comportamento ostativo e incompatibile con il progetto previsto anche dagli assistenti sociali per il recupero del rapporto padre-figlia.

La Corte d’Appello aveva ritenuto chiara la volontà della ragazza oramai quindicenne di non voler seguire alcun percorso di recupero del rapporto con il padre. La ragazza, in giudizio, aveva dichiarato di sentirsi ferita a causa delle scarse attenzioni riservatele dal padre, che si limitava solo ad inviarle qualche sms o a fare qualche telefonata saltuaria. La ragazza riteneva che “un ravvicinamento poteva avvenire solo su basi spontanee e non perché dettato da tribunali e servizi sociali”. La ragazza, per ravvicinarsi al padre, voleva “una prova di interesse sincero ed amorevole“.

Sulla base di queste dichiarazioni, la Corte d’Appello aveva ritenuto che i servizi sociali dovessero solo osservare se la ragazza con il tempo avesse voluto riprendere i rapporti con il padre e aiutare il padre nella scelta di una eventuale strategia da seguire per il recupero della relazione con la figlia. La Corte di Cassazione ha ritenuto di condividere la scelta della Corte d’Appello di non forzare la volontà della ragazza con ulteriori percorsi o incontri obbligati con il padre, ritenendo che tale scelta di “forza” poteva causare un maggiore allontanamento della figlia.

 

Non vince e le lotterie nazionali lo devono rimborsare!

Gratta e vinciOriginale sentenza del Giudice di Pace di Vallo della Lucania che ha condannato le lotterie nazionali a corrispondere 3.000 euro ad un giocatore per non aver mai vinto al gratta e vinci.

Era accaduto infatti che il giovane avesse acquistato 255 biglietti “gratta e vinci” in tre anni e non fosse mai riuscito a vincere.

In realtà più che di un risarcimento si tratta di un rimborso, poiché il contratto di acquisto di questi gratta e vinci deve considerarsi nullo, non riportando la dicitura relativa alla probabilità di vittoria o il fatto che il gioco può provocare dipendenza. L’apposizione su ogni grattino di tali diciture è addirittura prevista da una norma di legge, l’art. 7 del Decreto Balduzzi, al fine di tutelare la salute pubblica. Ed infatti, chi si appresta a giocare deve farlo con la consapevolezza della percentuale di vittoria e soprattutto con la consapevolezza che spesso, spinti a tentare la vittoria, si va a spendere un patrimonio più importante di quello che si potrebbe guadagnare.

 

NIENTE AFFIDO PER IL CONIUGE “IMMATURO”

mamma e bimbo

Una sentenza della Corte di Cassazione del 22 settembre scorso, la n. 18559/2016, ha accolto la domanda della madre volta ad ottenere l’affidamento esclusivo del bambino per immaturità del padre.

Ed infatti, era accaduto che il padre avesse ottenuto l’affidamento condiviso del minore, ma che successivamente fosse stato condannato più volte per reati nei confronti della coniuge, avendo avuto atteggiamenti aggressivi e violenti, tanto da creare conseguenti effetti destabilizzanti per l’equilibrio del figlio, vittima a sua volta di violenza “indiretta”. Peraltro, il marito non era puntuale nei pagamenti dell’assegno di mantenimento e non era assiduo nell’esercizio del diritto di visita.

Malgrado gli assistenti sociali avessero ritenuto che il rapporto tra padre e figlio fosse molto forte, la Suprema Corte ha ritenuto che essendo il padre immaturo ed avendo un comportamento diseducativo, non si poteva concedere l’affido condiviso non essendo questi in grado di assumersi quelle responsabilità che l’affido condiviso prevede. L’interesse superiore del minore deve essere inteso non nella sua volontà di mantenere la bigenitorialità, avere due genitori che si prendano cura di lui, ma più che altro, nell’avere due genitori che pensano alla sua educazione, alla sua istruzione ed alla sua crescita. Afferma la Corte: “l’interesse del minore deve essere inteso in funzione del soddisfacimento, delle sue oggettive imprescindibili fondamentali esigenze di cura, mantenimento, educazione, istruzione, assistenza morale e della sua sana ed equilibrata crescita psicologica morale e materiale.” L’inadeguatezza del padre ad ottenere l’affidamento del figlio è stata vista non solo nella discontinuità del mantenimento e nella non-regolarità e non-assiduità delle frequentazioni con il minore, ma soprattutto nel rapporto con la ex moglie. I reati commessi sarebbero stati destinati a riflettersi negativamente su sentimenti ed equilibri affettivi personali e familiari e nei rapporti interpersonali. Tali circostanze giustificavano l’affidamento esclusivo del minore alla madre.

Niente affido, pertanto, al coniuge “Immaturo”.