A distanza di un mese dalla chiusura della scuola, la Corte d’Appello di Torino ha emesso una sentenza (n. 1049/2016) che sicuramente farà piacere ai genitori che ogni anno sono alle prese con la mensa scolastica.
E’ accaduto che alcuni genitori avessero chiesto al Giudice di riconoscere il diritto di scegliere per i propri figli tra refezione scolastica e pasto domestico ed il diritto a che venisse consentito ai minori di consumare il pasto domestico all’interno della scuola nei locali adibiti a refezione.
Come è noto, il servizio di mensa scolastica è un servizio locale a domanda individuale che l’ente non ha l’obbligo di istituire ed organizzare e per il quale il privato/utente “avrebbe” facoltà di scegliere se avvalersene oppure no. Il condizionale è d’obbligo, perché di fatto, per come è strutturato il servizio o per esigenze della scuola, l’obbligo per tutti i bambini di accedere alla mensa viene, di fatto, imposto.
Inoltre, il Ministero dell’Istruzione considera la “pausa pranzo” come “tempo scuola” ed un eventuale uscita dei bambini per il pranzo produrrebbe ore di assenza che andrebbero ad incidere sulla frequenza scolastica.
Occorre anche considerare che oramai l’istruzione non è solo “impartire cognizioni”. Oggi l’istruzione ha una visione più ampia nella quale la mensa deve considerarsi momento di educazione e di promozione della salute. Momento che deve coinvolgere gli alunni e gli insegnanti.
Sotto questo aspetto, il permanere nella scuola durante la “pausa pranzo” costituisce un diritto dell’alunno ricompreso nel diritto all’istruzione.
Partendo da tale presupposto, la Corte d’Appello ha ritenuto che, essendoci un diritto all’istruzione e non potendo la refezione scolastica diventare obbligatoria, essendo imprescindibile il consumo di un pasto da parte dei bambini, è tutta evidenza che esso debba avvenire a scuola, ma al di fuori della refezione scolastica.
Ma c’è di più! La Corte d’Appello sottolinea che il riconoscimento di tale diritto non può comportare semplicemente la possibilità di consumare il pasto all’interno della scuola, ma deve presupporre una serie di misure organizzative anche in funzione degli aspetti igienico/sanitari di ciascun istituto.
Quindi, occorre che siano messi a disposizione degli alunni che non vogliano usufruire della mensa scolastica, dei locali appositi in cui gli sia permesso di consumare il pasto domestico.
Non v’è dubbio che ora toccherà alla Suprema Corte di Cassazione porre fine alla querelle, anche se il problema potrebbe essere facilmente risolto sotto un altro aspetto: migliorando il servizio, adeguandolo a prezzi contenuti e forse anche con un pizzico in più di collaborazione dei genitori e degli insegnanti, perché effettivamente il “tempo mensa” sia momento di “educazione e promozione” della salute alimentare dei nostri figli.